I contenuti del testo potrebbero sembrare inverosimili o intrisi di esagerazioni. Ma chi ha vissuto quei tempi nella batteria non avrà difficoltà a riconoscere che quanto descritto corrisponde esattamente alla realtà. Per tutti gli altri, che poi sono la maggioranza, chiedo un atto di fede!!
Parlare della “Quaranta” significa rivivere un’emozione, un sentimento che inorgoglisce chi ne ha fatto parte: un periodo che ha lasciato in tutti noi una forte impronta che non ci abbandonerà più. Non per tutti sarà così, ovviamente. Ma per molti, moltissimi, sì.
Una batteria che dal 1962, quando ancora si chiamava 2a batteria del gruppo “Susa”, nell’ambito del gruppo tattico “Susa”, venne inserita nella Forza Mobile Terrestre del Comando Alleato in Europa (Allied Command Europe Mobile Force Land – AMF/L) .
Quando buona parte delle forze terrestri occidentali si addestrava negli stessi poligoni ripetendo schemi di manovre sempre uguali, e gli equipaggiamenti, i materiali e le munizioni erano rappresentati da cartoncini colorati, la Forza Mobile si schierava nelle regioni considerate le più critiche dell’Europa e della Turchia per dimostrare la ferma intenzione dell’Alleanza Atlantica di difendere i propri confini reagendo con immediatezza a qualunque minaccia di aggressione.
I reparti dell’AMF(L) muovevano dalle proprie sedi stanziali al completo di “armi e bagagli” ed in pochi giorni erano pronti per svolgere attività addestrative intense per durata e realismo (di oltre venti/trenta giorni), senza interruzioni per intervalli rancio o condimeteo avverse.
Nulla a che vedere, naturalmente, con i sacrifici e le sofferenze dei nostri “Padri” nel corso dei due conflitti mondiali, ma sparare a – 42° a Saettermoen in Norvegia, bruciando le cariche di lancio avanzate sotto il blocco di culatta dell’obice per evitare che il meccanismo si congelasse dopo aver sparato il colpo, era sempre …….. un’emozione, soprattutto per noi “figli della nutella e delle merendine”.
Questa realtà aveva consentito ai reparti della Brigata “Taurinense”, e quindi anche alla 40° batteria, di maturare “sul terreno” una non comune esperienza in campo operativo, addestrativo e, so-prattutto, logistico.
La vita della batteria era scandita dagli appuntamenti che ogni anno doveva onorare ed ai quali non si poteva derogare: la partecipazione a complesse esercitazioni a fuoco ed in bianco dall’estremo nord norvegese al Caucaso turco, passando per gli stretti danesi, l’Italia del nord est, la Tracia greca e turca.
A queste si aggiungevano poi le “Ardent Ground”, attività a fuoco organizzate a rotazione dalla Force Artillery in diversi Paesi della NATO (di norma in Germania, Danimarca, Portogallo, Regno Unito, Italia, Belgio) esclusivamente per le batterie dell’AMF(L).
Erano un po’ l’appuntamento più importante dell’anno, il più atteso. Si era solo tra Artiglieri e non si poteva fingere o barare: i colpi sul terreno erano la dimostrazione della nostra preparazione.
Oltre a verificare la conoscenza e la corretta applicazione delle procedure (si sparavano più di 1.000 colpi in pochi giorni), le “Ardent Ground” erano il momento per affiatarci, scambiare le espe-rienze (come ad esempio quelle Inglesi dopo il conflitto delle Falklands) o, per noi, nello scrivere ex novo lo STANAG delle procedure per l’elitrasporto delle batterie alleate d’intesa con il Magg. Peter Haan, dell’Esercito Tedesco, Comandante del reparto elicotteri della AMF(L).
Ma il momento più importante delle esercitazioni “Ardent Ground”, il più sentito da tutti, erano le competizioni sportive tra batterie, a conclusioni delle quali veniva eletta la “champion battery” dell’anno. Sparare (più o meno bene) era il nostro mestiere, ma trionfare in quelle gare era una soddisfazione indescrivibile …………altroché “l’importante è partecipare e non vincere”!
Superata la fase iniziale a dir poco “eroica” (forse oggi si potrebbe definire anche un po’ grottesca) quando nelle prime esercitazioni (degli anni ’60) venivano utilizzati veicoli ed obici presi in prestito dalla nazione ospitante, la batteria via via assunse una propria identità che veniva tramandata, ar-ricchendola, da scaglione a scaglione di Artiglieri.
Ed era sempre così per coloro che arrivavano “freschi” di arruolamento. I “figli” (così in gergo erano chiamate le reclute) capivano ben presto ed altrettanto in fretta si dimostravano capaci di raccogliere il testimone per trasmettere a loro volta il messaggio ai futuri “quarantini”.
Quando nelle Scuole di Tiro in Italia venivano sparati poche decine di colpi per batteria negli stessi poligoni, sugli stessi obiettivi (chi non si ricorda il famoso “albero a palla”…..), la 40a sparava oltre 2.000 colpi ogni anno senza conoscere preventivamente gli schieramenti, gli obiettivi e gli itinerari di afflusso. Anzi era un punto d’orgoglio sparare da nuove posizioni, arrivando poco prima e senza ricognizioni preventive se non quelle del nucleo “R” (ricognizione) che doveva definire lo schieramento.
L’obice da 105/14 divenne l’amico più fedele del quale si conosceva ogni caratteristica, ogni bullone ed ogni acciarino. Un pezzo di ferro di 1.200 kg che veniva manovrato dai Serventi con tale perizia e dimestichezza, sia nel tiro indiretto sia in quello contro/carro, che sembrava veder impiegare “una pistola”, un po’ come l’artiglieria napoleonica. L’elicottero divenne, invece, il mezzo di trasporto più consueto per le “prese di posizione” (con tutti i materiali e munizionamento al seguito).
Il poligono di Ciriè era il nostro luogo di abituale dimora, dove si passavano giorni e giorni (e notti) senza limitazioni di cattivo tempo (tanto gli Alpini non erano e non sono solubili!) per addestrarci in piena autonomia cercando di migliorare gli standard di rendimento in vista della “sfida” (così era vissuta dagli Artiglieri) con le altre batterie della Force Artillery.
Le Valli Lanzo e la Val Maira, unitamente al Gran Dubbione ed al Frioland, erano i nostri luoghi di villeggiatura ricorrenti.
Il forte senso di appartenenza, il duro addestramento, nonché l’elevato livello di preparazione, ha portato nel tempo la batteria ad ottenere brillanti riconoscimenti in ambito NATO e contribuito a mantenere alto il prestigio delle Forze Armate italiane nelle oltre 70 esercitazioni alle quali la “Qua-ranta” ha preso parte dal 1963 al 1999.
E questo è ancor più vero se si considera che, a meno degli ultimi anni, il personale era esclusi-vamente di leva e si doveva “misurare” con reparti stranieri di professionisti.
Un giorno un Alto Ufficiale Generale italiano, allora Comandante dell’AMF (L), durante una “Ardent Ground” nel Regno Unito (Salisbury Plan), disse al Capo di SM dell’Esercito in visita che nel con-fronto era come bere un bicchiere di whisky (soldati professionisti) rispetto ad una tazza di the (mi-litari di leva).
Per contro, rimane indelebile il ricordo della visita alla batteria del SACEUR , Gen. US Alexander Haig, nel maggio del 1978 nel poligono di Elsenborg in Belgio. Egli, dopo aver chiesto il permesso di entrare nello schieramento durante il fuoco ed avere osservato lo svolgersi delle procedure di tiro, ad intervento ultimato, volle recarsi a complimentare tutta la linea pezzi che, da “batteria pilota”, aveva diretto con bravura e celerità il fuoco di tutte le batterie della Force sull’obiettivo.
Allorquando il caporalmaggiore capopezzo del 3° pezzo, quello base, gli si presentò lo fece in un buon inglese, e già ciò lo stupì, ma quando gli chiese quanti anni di servizio militare avesse, il gra-duato gli rispose “ten mounths”, sorrise e replicò “sorry, ten years “, ”no” disse il capopezzo “, “dieci mesi”, il Generale scosse la testa e disse “Italians, fantastic, ten mounths”.
A forza di addestrarsi all’estero, si acquisì una sicura competenza che permise di realizzare e fog-giare procedure d’intervento, metodologie d’impiego e soluzioni originali che, a dire il vero, non sempre erano gradite in Italia.
E così vennero tolti gli scudi agli obici, per evitare che si impigliassero nelle cinghie di elitrasporto durante il volo, furono utilizzate le procedure d’impiego inglesi, in uso nella Force Artillery e natu-ralmente molto più funzionali, si modificarono le vecchie buffetterie inglesi della 2a Guerra Mondia-le, per renderle almeno funzionali se non esteticamente migliori, ci si fece prestare i bastoni con illuminazione a pila dai Vigili Urbani di Torino per far le indispensabili segnalazioni per l’elitrasporto notturno, e tante altre piccole cose.
Chi poi non si ricorda di “Attila”!!!
Un carro comando realizzato in proprio, “cabinando” un ACL 51, sulla base delle esigenze emerse sul campo per evitare di avere un posto comando sotto una tenda “a 5 teli” o “4 x 4” ed almeno es-sere simili ai nostri colleghi stranieri.
“Attila” ben presto fu la mascotte della batteria: riusciva sempre ad arrivare su ogni schieramento, magari al traino od a spinta, non tradiva mai, anche non era molto confortevole. Nella notte del 18 marzo 1976 l’Ufficiale al Tiro venne interessato da congelamento al fondoschiena ed alle piante dei piedi. È stata quella, in assoluto la notte più fredda di trenta anni di manovre nel Grande Nord, il liquido del termometro era nel bulbo, sotto i 52°C; ma all’osservatorio, quella notte nessuno osò leg-gere la graduazione. Gli obici incruditi suonavano al tiro come campane d’argento. Quel anno eravamo arrivati a Bardufoss il 27 febbraio con – 30°C, partimmo il 24 di marzo con – 33°C. Non avevamo mai superato la temperatura del giorno di arrivo!
La “Quaranta” divenne uno stile di vita del tutto particolare, un po’ guascona, con un linguaggio ed una ritualità che solo i suoi componenti potevano comprendere.
L’entusiasmo era talmente sentito che spesso i Congedanti si facevano punire di consegna di rigore (anche per numerosi giorni) per prolungare il proprio servizio e partecipare così ad un’altra esercitazione all’estero (molti riuscivano ad effettuarne anche 2 o 3).
Un ruolo molto importante in questo lo ricoprirono i Sottotenenti di complemento, elementi trainanti per la ventata di novità e di entusiasmo che ogni 3/4 mesi infondevano nella batteria.
Si venne a creare un legame tra noi “Quarantini” del tutto particolare, difficile da descrivere e capire se non si è vissuti nella batteria. Un legame che nasce solo tra Soldati che condividono le stesse difficoltà e perseguono gli stessi obiettivi, capace di superare la “barriera” che una certa mentalità del tempo voleva che ci fosse tra militari di leva ed Ufficiali e Sottufficiali.
Ciò naturalmente portò la batteria a divenire agli occhi di molti (anche diretti Superiori) antipatica, presuntuosa e scomoda da gestire.
Il personale si guadagnò presto, non certo per stima, l’etichetta di “operativo”, che a quei tempi si attribuiva al reparto che faceva dell’addestramento – sempre e dovunque – il proprio “credo”, del sacco a pelo il proprio letto e della tuta da combattimento, magari con qualche modifica persona-lizzata, il proprio abito più elegante.
Si veniva anche chiamati “i convinti”, le “mosche bianche”, i “gasati”: forse più per invidia che per altro. Non potendo “imitarci” (di 40 ce ne era una sola!), cercavano in tutti i modi di denigrarci, met-terci in cattiva luce od in difficoltà.
In quei meschini dispetti si distinse un Capo Centro Tiro del gruppo “Pinerolo” che non perdeva occasione per crearci problemi nell’addestramento, nell’assegnazione del personale e nell’appron-tamento per le attività all’estero.
Ma quando al “rompete le righe” dopo l’alza bandiera rimbombava l’urlo “Quaranta”, si percepiva negli altri una sorta di malcelata ammirazione ed in noi un forte senso di fierezza e dignità, di chi si era guadagnato “sul campo” il rispetto e la credibilità.
E a chi ci accusava di non essere Alpini (la famosa “Alpinità”) si rispondeva con i fatti: le ascensioni! Tanto per ricordarne alcune: Gran Paradiso (4.061 m) nel 1983, Adamello (3.554 m) nel 1984, Croce Rossa (3.556 m) nel 1985, Uia di Ciamarella (3.637 m) nel 1986, Terranera (3.100 m) nel 1989, Ondezzana (3.492 m) nel 1991, Meidassa (3.105 m) nel 2006.
Le critiche, i dispetti e le ritorsioni invece di indebolire fortificarono il carattere; anzi furono lo stimolo per un gruppo sempre più compatto e fiero di questa “diversità” che portò a coniare il motto “siamo così … o non siamo”.
Un motto che racchiudeva un modo di essere, di interpretare la vita militare all’impronta di una di-sciplina condivisa e di una certa dose di spregiudicatezza.
L’attaccamento dei montagnini a questa batteria si è mantenuto anche dopo il congedo, consoli-dandosi nel tempo, a conferma di quanto fossero forti le amicizie e vivi i ricordi maturati sotto le armi. Ne è una conferma la creazione di un sito internet dedicato (www.40bty.it) e la voglia di ve-dersi anche dopo anni. Dal 2003 i “Veterani della 40” si incontrano annualmente per perpetuare i propri ricordi.
Per concludere, un particolare pensiero ai Volontari, i Soldati professionisti che sono il presente ed il futuro della batteria (e di tutto l’Esercito).
I Quarantini del 1°, 2° e 3° corso VSP dal 1997 al 2000, smentendo anche i più scettici, hanno continuato a mantenere alto il prestigio della “Quaranta”, forti delle tradizioni e dello stile di vita dei loro predecessori di leva. In ambito internazionale per primi sono impiegati, proprio come 40^ bty, in operazione in Kosovo (2000) a difesa dell’enclave serba di Goradzevac ed a protezione, con i propri obici da 105/14, del contingente francese.
Durante quel periodo il personale dei nuclei Osservazione ha ricevuto gli elogi dei colleghi della US Army per la professionalità con la quale hanno diretto gli interventi illuminanti di una batteria della US Artillery. Quest’ultima circostanza costituisce ulteriore prova della perfetta integrazione in con-testo multinazionale e di eccellente grado di conoscenza delle procedure della NATO.
Desidero, infine, ricordare alcuni personaggi che sono stati gli elementi portanti nel tempo della batteria:
- Cap. Giovanni Greco (detto Giuanin), ancora un mito, che ha preso parte a quasi tutte le eserci-tazioni della batteria dal 1968 al 1989. Per anni è stato un fermo punto di riferimento per i giovani Ufficiali (sicuramente per lo scrivente) per la serenità che riusciva a trasmettere anche nelle situazioni più impegnative. È ancora ricordato nei “bivacchi dei veterani” per i litri di caffè bevuti ad ogni ora e per l’affettuoso abbraccio “mozzafiato” riservato agli amici più cari (Zaffaroni ne sa qualcosa);
- Cap. Bruno Baudissard, il primo ad avere avuto la volontà e le capacità di dare un sensibile impulso innovativo alla batteria portandola su standard analoghi a quelli delle altre batterie della Force Artillery;
- Ten. Francesco Narzisi (ora Colonnello Comandante del 1° reggimento artiglieria da montagna dove è inserita la 40 bty), Sottocomandante e membro fondatore del club “figli del sole”, per il carisma e l’entusiasmo che lo animava e che trasmetteva a tutto il reparto. Era anche noto per il foulard mimetico che portava al collo anche nel sacco a pelo o in costume da bagno;
- Ten. Ambrogio Zaffaroni, forse l’Ufficiale più capace e competente presente in quegli anni e dal “fisique de role” che meglio impersonava lo stile della batteria. Era ricordato anche per la passione per l’antipasto “dell’alpino” delle razioni di campagna;
- Cap. Giorgio Ramenghi, detto Cirrus, un tempo il miglior Ufficiale Osservatore della Force Artillery;
- Generale di C.A. Benito Gavazza, Comandante del 4° Corpo d’Armata Alpino, che capì subito lo spirito della batteria, malgrado le “malelingue”. Al Generale Gavazza la batteria deve sempre essere riconoscente per aver fatto assegnare nel 1985 i fucili FAL per truppe alpine in sostitu-zione dei Garand, in deroga alle disposizioni organiche del tempo;
- Gen. di B. Angelo Becchio, Comandante della Brigata “Taurinense”, che anche lui comprese lo spirito della batteria e ne sostenne il potenziamento.
Desidero terminare con due osservazioni.
La prima, è rivolta a tutti gli Artiglieri della “Quaranta”, che ringrazio ancora una volta per la generosità, lo spirito di sacrificio e la disponibilità che hanno sempre assicurato in ogni circostanza. Spesso mi chiedevo, tra me e me, se nelle stesse situazioni sarei stato in grado di comportarmi come loro. Li ringrazio per avermi sopportato anche quando i miei atteggiamenti erano a volte un po’ troppo “bruschi”!
La seconda, è relativa all’esperienza maturata nei 9 anni passati in 40^ bty. Questa esperienza mi è sempre tornata molto utile nel prosieguo della vita militare, soprattutto nelle missioni all’estero, quando ho potuto affrontare adeguatamente situazioni critiche, specie in campo logistico, rifacen-domi ai modelli di riferimento dell’AMF(L) secondo lo stile della quarantesima batteria!
Generale di Corpo d'Armata Giorgio Battisti, in servizio allo Stato Maggiore dell’Esercito
Sottocomandante (1976 – 80) e poi Comandante (1982 – 87) della 40a batteria